La popolazione mostra di avere scarso interesse per le questioni che riguardano la salute sino al sopraggiungere di una patologia. L’aumento dell’età media impone, però, un’inversione di tendenza a favore di una maggiore consapevolezza di quali siano i corretti stili di vita e la necessità di stabilire un rapporto di collaborazione con i medici. Un cambio nel paradigma comunicativo che vede l’introduzione della gamification, ovvero l’utilizzo di tecnologie e dinamiche proprie del gioco, si sta rivelando una scelta vincente.

Potrà lasciare un attimo spiazzati sapere che contesti che non hanno niente a che vedere con il gioco si siano rivelati così ricettivi, ma sembra proprio che la contaminazione tra linguaggi diversi possa contribuire a rinfrescare le modalità di comunicazione, a favorire l’engagement e rendere più efficaci i percorsi formativi.

I sistemi di gamification si sono rivelati efficaci nel coinvolgere il personale delle aziende nell’apprendere nuovi modelli organizzativi volti a migliorarne le performances oppure nell’incontrare i bisogni del pubblico che le stesse company sono interessate a raggiungere.

Studi recenti confermano come i dipendenti che seguono percorsi di formazione che prevedono l’utilizzo di video-giochi oppure di simulazioni al computer ottengano migliori risultati in termini di apprendimento delle nozioni, e sviluppino la capacità di mantenerne il ricordo più a lungo nel tempo.

La rapidità con cui questo tipo di strumenti riesce a diffondere un messaggio e catturare l’attenzione dell’audience si basa, invece, sull’immediatezza di risposta quando viene stimolato il nostro lato ludico, sulla confidenza che abbiamo con i media digitali e, quindi, sul fatto che anche i milllenials (generazione digitale) hanno raggiunto la maturità per essere considerati consumatori.

Una comunicazione tanto interattiva quanto quella odierna ampi riferimenti a chi si occupa della progettazione di questi nuovi modelli comunicativi in merito ai contenuti da inserire e al linguaggio da usare. Non a caso, si parla già di gamification 3.0, livello in cui confluirebbero lo studio del comportamento del pubblico e i big data al fine di personalizzare sempre di più messaggi e scenari.

Per avere un’idea di come creare un percorso di gamification efficace e avere un assaggio del futuro, vi potrà essere utile dare uno sguardo al white paper che Anitha Gao Gadyar ha realizzato per Cognizant. Al suo interno troverete anche una riflessione interessante sul settore salute e sul potenziale che questi mezzi avrebbero nell’influenzare positivamente il comportamento della popolazione.

L’engagement è la sfida principale che ogni giorno vede impegnati i vari players dell’healthcare. È fuor di dubbio quanto questi approcci innovativi possano dare una mano, ma molta strada deve essere ancora percorsa prima che si possa affermare che la gamification faccia ottenere risultati riproducibili.

Volendo portare degli esempi, sino ad ora si è assistito a numerosi esperimenti che hanno visto la creazione di:

  • user generated content sui social media e chi ha provato a mettersi in gioco sono stati il pubblico e la classe medica. Gli esiti sono molto singolari, come nel caso dei video in cui sono messe in scena parodie della vita d’ospedale prendendo spunto da canzoni di successo (un esempio qui di seguito);

  • veri e propri programmi volti a sviluppare conoscenza attorno ai temi della salute più attuali;
  • giochi in cui si è chiamati a fare i chirurghi trovandosi davanti alle tante patologie che hanno della sala operatoria un loro punto d’arrivo, oppure a confrontarsi con i pericoli per la sua salute cui la vita di tutti i giorni ci espone, ma dei quali non siamo sempre così coscienti.

Un’esperienza leggermente diversa è stata portata avanti anche dalla Yale School of Medicine la quale ha elaborato un video gioco formativo (destinato alla fascia d’età 9-14 anni) che avesse come obiettivo educare gli adolescenti circa i rischi legati alle malattie sessualmente trasmissibili: Play2Prevent.

Non è stato però l’unico, dal momento che un altro gioco è stato creato anche dall’Università del Texas. Entrambi hanno confermato la bontà della scelta di utilizzare un approccio tra il giocoso e l’informale quando devono essere affrontati temi delicati con questo particolare pubblico, ma dimostrano di avere la stessa lacuna, ovvero non riuscire a mantenere l’attenzione sul tema per più di qualche ora vanificando l’intento educativo.

Dalla successiva fase di implementazione sono emersi i primi accorgimenti utili a rendere un gioco realmente fruibile per settimane o mesi e in grado, quindi, di veicolare il messaggio educativo in modo più incisivo:

  1. un’ambientazione che sia coinvolgente e realistica;
  2. una serie di scenari/storie in cui la trattazione degli argomenti oggetto della formazione che siano plasmabili secondo le richieste delle singole scuole e dei genitori;
  3. l’utilizzo di un linguaggio autentico grazie alla collaborazione con ragazzi di età superiore che hanno vissuto esperienze difficili;
  4. la creazione di un canale di comunicazione diretta e in real-time con i giocatori in modo da scambiarsi feedback a caldo e, se possibile, di una piccola community moderata sui social dove più facilmente può essere estesa la discussione.

Sul cammino di questo tipo di strumenti come ausilio nell’healthcare, dove il mercato dei software dedicati al paziente è già in forte crescita, non sono solo quelli appena menzionati gli ostacoli da superare. Steffen Walz, ricercatore,  docente e direttore del GEELab Europe, laboratorio specializzato nella progettazione di sistemi d’intrattenimento, pensa che il boom dei giochi interattivi sia ancora da venire.

In una recente intervista, sottolinea quanto lo sviluppo di questo settore abbia in pazienti e medici i principali interessati, nella possibilità di concepire un programma che possa viaggiare su uno smartphone per influenzare il comportamento del paziente un alleato forte, ma forti resistenze riguardo a uno scenario in cui app e giochi partecipano alla cura in modo diretto.

Nonostante tutto, abbiamo in Sanofi un esempio di elaborazione e lancio di un gioco, Monster Manor, dedicato ai bambini con diabete di tipo 1. Nato per aiutarli a gestire e tenere sotto controllo la patologia, gli insegna in modo giocoso a registrare giornalmente il livelli di glucosio per poter ottenere premi e avanzare nell’avventura virtuale che stanno vivendo.

In conclusione, gli esempi che abbiamo riportato dimostrano come questi strumenti consentano di elaborare dei percorsi di sensibilizzazione che non abbiano dei toni seri o una comunicazione top-down. L’illustrazione delle tematiche di salute o delle abitudini da seguire può anche avvenire con un tono ironico e con esempi scherzosi.

Sebbene ciò possa sembrare una scelta azzardata vista la delicatezza di certi argomenti, il successo avuto dalla campagna Dumb ways To Die sui pericoli che ci riserva la quotidianità, evidenzia proprio come un dialogo più scanzonato permetta l’instaurarsi di una relazione costruttiva con le generazioni future.

Guardando al panorama della gamified health, è necessario fare un’ultima precisazione. Esistono anche giocattoli veri e propri con funzionalità particolari tipiche di un dispositivo medico. È il caso di Teddy The Guardian, l’orsetto in grado di misurare temperatura, battito cardiaco e saturazione dell’ossigeno nei bambini attraverso un semplice abbraccio.

Eliminando il confine tra gioco e device, si collocano su una linea di confine molto delicata e oggetto di dibattito, l’opportunità di tenere o meno separati l’ambiente di casa da quello dell’ospedale, e dovrebbero portare chi si occupa di regolamentazione a riflettere sulla necessità di garantire un’adeguata supervisione di ciò che entra sul mercato.

Nel caso specifico, si tratta di pazienti pediatrici sui quali non vi è mai la certezza riguardo le ripercussioni emotive di un ricovero, ma nel caso siano affetti da una patologia cronica, un dispositivo travestito da giocattolo potrebbe neutralizzare ansie e paure legate alle “intrusioni mediche” quotidiane e creare una continuità al rientro a casa.

Volendo dare, infine, anche dei numeri, l’istituto di ricerca Gartner stima che, nel 2015, il 50% delle aziende utilizzerà strumenti di gamification e che nel 2016 si spenderanno 2,6 miliardi di dollari per il loro inserimento nelle dinamiche organizzative o comunicazionali. Varranno le stesse cifre anche per il settore farmaceutico?

In caso tutto vada secondo le loro previsioni, avremo un panorama in cui miglioreranno le condizioni per i pazienti e un po’ più di spensieratezza la farà da padrona all’interno del mondo dell’assistenza sanitaria. Sinceramente, chi potrebbe opporsi a tutto ciò?