Dottor Google è il più consultato nel mondo, ma chi protegge gli utenti dalle bufale?

Doctor Google, Covid-19 e infodemia: quando la salute è a portata di mouse

L’ultimo in ordine di tempo è stato il Covid-19, il virus che ha sconvolto il mondo, e che è risultato la prima voce di ricerca on-line nel 2020, come puntualmente riportato dal report di Google trends. Il virus con la corona è stato il “re” dei click, e non avrebbe potuto essere altrimenti. Bloccati in casa durante il lockdown, tutti abbiamo cercato risposte facili e veloci a domande complesse quali: cos’è un coronavirus? Si muore di Covid-19? Quali sono i sintomi del Covid-19? E le tante le query correlate: mascherine, polmonite interstiziale, contagi e via discorrendo. Ma prima della pandemia, il motore di ricerca più consultato del web rappresentava già la nostra fonte di informazione sanitaria d’elezione.

Quali sono i rischi che corriamo usando solo la rete per aggiornarci? Anche il raffinato algoritmo di Google, infatti, può essere gabbato dalle bufale e accreditare fonti di discutibile serietà. La disinformazione è quindi il pericolo numero uno, che aumenta nel momento in cui l’ansia per la salute nostra e di chi amiamo, raggiunge vertici di intensità. Il termine infodemia è stato coniato proprio per definire il bombardamento mediatico indotto dalla pandemia, cercato, voluto, ma, soprattutto, subìto.

Un martellamento incessante che ha prodotto effetti deleteri sull’equilibrio mentale degli utenti, sopraffatti dall’eccesso informativo, in una condizione di empasse e di confusione a sua volta generatrice di stress. Il perché è presto detto: si chiama paradosso dell’offerta, ed è un meccanismo ben noto nel neuromarketing. Di fronte ad una gamma troppo vasta di potenziali beni di acquisto di un certo genere, non riusciamo a scegliere, finendo per non acquistare nulla. Allo stesso modo, troppe informazioni discordanti, sensazionalistiche, allarmanti su uno stesso argomento riversate su persone “normali”, non dotate di strumenti in grado di filtrare il vero dal falso, producono l’effetto opposto a quello voluto. Il nostro cervello non è in grado di ricevere, elaborare, e trattenere una mole eccessiva di informazioni, le rigetta. Ecco che, allora, la mente si chiude, lasciandoci inebetiti, incapaci di scegliere a cosa dare attenzione, a cosa “credere”. Per fortuna, anche i mezzi di informazione digitale si sono dotati di strumenti di protezione dalle fake news circolanti.

Fact-checking: come “smontare” le bufale sulla salute

Si chiama fact-checking il processo di ricerca della “verità”, in questo caso applicate al settore salute. Siti web autorevoli, ad esempio il portale del Ministero della Salute o Dell’Istituto superiore di sanità se restiamo in Italia, hanno sezioni dedicate al fact-checking, ovvero allo “smontaggio” delle bufale che più frequentemente si trovano sul web e creano turbolenza tra gli utenti. Le “balle” che nel corso del 2020 hanno girato sul coronavirus sono state tantissime, alcune fantasiose e palesemente prive di fondamento, altre più subdole e complottistiche come la “fuga” del virus dal laboratorio cinese di Wuhan.

Il Covid-19 e le sue conseguenze, hanno però solo fatto deflagrare un fenomeno già ampiamente documentato: la tendenza dei cittadini a ricercare informazioni sanitarie di qualunque tipo sul web senza le competenze necessarie a valutare l’autorevolezza delle fonti dovuta ad una insufficiente alfabetizzazione digitale. Si sono in questo modo diffuse e hanno messo radici anche in terreni insospettabili, teorie – spesso basate su falsi studi e dati manipolati – che mettono in dubbio o che addirittura negano il metodo scientifico, i protocolli di cura della medicina tradizionale, e l’utilità o l’innocuità dei vaccini.

Per quanto un buon fact-checking come argine alla disinformazione sanitaria sia certamente positivo, nessuna contro-argomentazione potrà avere lo stesso impatto dirompente di una bugia ben confezionata, che giochi sulle paure più profonde degli esseri umani.  Se credibilità è la parola chiave, quali sono i criteri per stabilirla? Il settore della digital health nella sua impostazione giornalistica e divulgativa deve puntare al massimo credito possibile, perché fuorviare l’utente che cerchi informazioni in buona fede, è un attimo. Il tempo di un click.

Cosa fa Google?

Chi lavora nel settore digitale sa che il posizionamento dei propri contenuti è la missione di ogni comunicatore. Significa piazzarsi tra i primi risultati di ricerca quando chi naviga digita su Google quelle poche paroline che gli interessa andare ad approfondire. Così può accadere che contenuti di ottima qualità mal posizionati non verranno letti. E che, al contrario, una fake news ben confezionata possa facilmente apparire ai vertici delle pagine di ricerca. Cosa fa Google? Quali sono gli standard usati per selezionare i contenuti migliori per quella chiave di ricerca? La buona notizia, è che anche Google si attrezza, sebbene non con sufficiente sollecitudine. Già nel 2018, il super motore di ricerca aveva modificato il suo algoritmo aggiornandolo in Medic Update e affinando i criteri selettivi nel settore medico, farmaceutico e sanitario in generale. Cosa è cambiato? Che si è dato maggior risalto agli organi di informazione sanitaria istituzionale, ai portali di Istituti di ricerca e ai siti giornalistici le cui pubblicazioni fossero validate da comitati scientifici interni. Penalizzate, invece, le fonti informative meno cristalline, prive di pedigree sanitario certificato. Nel 2020, anno cruciale per la disinformazione sanitaria, Google ha promosso un nuovo core update, non specificamente dedicato al settore della digital health. Ma… se un cambiamento c’è stato nella scelta qualitativa e nella rilevanza dei contenuti, nulla si è potuto fare sull’autorevolezza delle fonti all’origine. Non possiamo quindi “fidarci” in toto dei risultati di Google quando cerchiamo notizie su salute e affini.

Cosa possiamo fare noi? Cinque consigli per salvarci dalle bufale sanitarie on-line

Ciascuno di noi, per quanto non “attrezzato” a smascherare una bufala sanitaria come un avveduto fact-checker, può difendersi dalla disinformazione digitale. Come? Ecco cinque regole facili per poter accedere a contenuti sicuri e di qualità nell’ambito della salute:

  1. Incrociare le informazioni. Un buon metodo per sapere se una notizia è vera o infondata, è quella di controllare se siti di informazione autorevoli (fonti certificate, istituzionali ecc.), riportano la stessa informazione, e in che modo (ad esempio, potrebbero riportarla ma solo allo scopo di dimostrane l’infondatezza).
  2. Leggere i commenti. Ottimo sistema per capire se una notizia di argomento sanitario è attendibile, è quella di controllare la qualità dei commenti che la accompagnano. Meno sono argomentativi e critici, più la news puzza di bufala.
  3. Valutare criticamente la sorgente della notizia. Quando ci appare un titolo “urlato”, o sensazionalistico, dobbiamo sempre controllare la fonte da cui arriva, e quali sono gli interessi che la muovono. Le fonti istituzionali o autorevoli in ambito sanitario, hanno come scopo quello di informare in modo accurato e chiaro. Viceversa, le fonti che puntano esclusivamente ad aumentare i click, manipolano le notizie e le presentano in modo accattivante ma, spesso, ambiguo e fuorviante.
  4. Condividere con prudenza. Questo vale soprattutto per le notizie che circolano in modo virale sui social. Prima di leggerle, e di condividerle, è opportuno visionarne l’origine e capire se sia il caso di promuoverne la diffusione, o meno.
  5. Non usare i social media per informarsi sulla salute. Le migliori fonti di digital health non usano i social media per pubblicare informazioni sanitarie importanti, o li usano in modo parsimonioso e non virale o terroristico. Se, quindi, vogliamo approfondire la conoscenza di un argomento, anche “caldo”, sul tema salute, meglio optare per portali scientifici o istituzionali. In questo modo saremo anche più attrezzati a difenderci dalle bufale virali che girano per il web!

 

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