Accade molto spesso che pazienti e caregivers sentano l’esigenza di scambiarsi opinioni o condividano le esperienze. In questo senso, il web offre numerosi spazi come forum, chat e gli stessi social network. Tra questi ultimi, grazie alla sua natura di canale interattivo, alla possibilità di comunicare in tempo reale e all’ampio grado di disseminazione degli argomenti, Twitter sta diventando un importante mezzo di confronto in ambito salute. La sua immediatezza favorisce molto l’uso da parte dei pazienti rendendolo una fonte preziosa d’informazioni sui loro bisogni e, più in generale, sulle dinamiche che si sviluppano attorno a una patologia.

In un recente studio condotto in Giappone e pubblicato nel 2014 sul Journal of Medical Internet Research, è stato valutato il grado di interazione dei pazienti oncologici con Twitter e si è cercato di comprendere quanto un simile strumento, nato per comunicare, potesse essere un valido supporto per la comprensione delle necessità di queste persone.

La ricerca ha riguardato tutti i profili pubblici in cui si facesse riferimento a una forma di neoplasia (al seno, al colon-retto, all’utero, al colon, al retto, alla cervice, allo stomaco, al polmone, all’ovaio o alla leucemia), per poi procedere all’analisi del contenuto dei tweet lanciati da questi pazienti.

Gli account valutati comprendevano 313 pazienti di tumore al seno, 158 affetti da leucemia, 134 con cancro alla cervice o all’utero, 87 con tumore al polmone, 64 con cancro al colon e 44 con tumore allo stomaco. Dallo studio approfondito si è visto che:

  • ogni forma di patologia da vita a una rete ben definita e indipendente di persone che si confrontano, ma vi sono numerosi casi di appartenenza a più di un network;
  • le parole chiave attorno alle quali si snoda la comunicazione riguardano, in quasi tutti i casi di tumore, la diagnosi, la sintomatologia e la terapia;
  • all’interno del gruppo di pazienti con cancro al seno molto frequentemente si parla dell’utilizzo dei social media;
  • le donne affette da cancro all’utero o alla cervice fanno spesso riferimento ad argomenti come il vaccino e al supporto pubblico per le spese mediche.

Oltre alla patologia neoplastica, le migliaia di persone che usano Twitter per parlare di salute non si confrontano solo su questa e altre patologie come il diabete o le problematiche neurologiche, ma estendono il dibattito anche a tanti altri argomenti clinico/assistenziali.

Fortunatamente, nel pubblico è sempre più presente la classe medica la quale, oltre a partecipare in modo attivo alle varie discussioni, prende coscienza di quanto sia importante diversificare i canali di comunicazione per far sentire la propria vicinanza al cittadino e poterne conoscere meglio desideri e aspettative.

Due esempi che possono aiutare a comprendere meglio sono:

(a) l’esperienza diretta di Christopher Snider (@iam_spartacus) come portavoce di malattia

dopo diversi anni di blogging sulla propria malattia, Christopher decide di mettersi alla prova nel documentare nell’arco delle 24 ore e utilizzando l’hashtag #dayofdiabetes, qualsiasi pensiero che ha o azione che compie in relazione alla patologia di cui soffre: il diabete di tipo 1.

Alla fine di ciascuna giornata, raccoglie tutti i contenuti in un post su Storify e presto, a livello del web, si viene a creare una vera e propria community che recepisce Twitter come uno spazio per condividere le sue esperienze (alcuni esempi di queste cronache giornaliere le trovate su questo account Tumblr).

(b) lo studio del Dr. Katz, oncologo, che ha condotto una ricerca sugli hashtag correlati a tematiche mediche

insieme a un gruppo di clinici ha indagato come l’argomento cancro viene affrontato su Twitter e ha cercato di capire quali siano le parole o le sigle che funzionano da fili conduttori. Tra queste abbiamo, per esempio, la sigla #bcsm (breast cancer social media) usata su Twitter per identificarsi o per creare un appuntamento settimanale di confronto (altri esempi li potete trovare a questo link).

L’ipotesi da cui Kats è partito si rifà alla funzione originaria degli hashtag per valutare quanto possano facilitare l’accesso a informazioni su argomenti di tipo medico e far nascere interazioni produttive tra le persone.

Le conclusioni cui arriva portano ad ipotizzare l’esistenza di tanti scenari patologia-specifici, popolati da figure diverse (pazienti, medici, caregivers, infermieri e ricercatori), dove le richieste del pubblico e le discussioni che prendono forma rafforzano la consapevolezza collettiva sui vari problemi di salute.

Per quanto innovativi, sia l’iniziativa del singolo sia lo studio più mirato condotto dai ricercatori lasciano interrogativi aperti a cui i dati raccolti non riescono a dare una risposta:

  • “La scelta di usare Twitter da parte dei pazienti vuole essere una ricerca d’aiuto per scegliere la terapia migliore?”
  • Come è possibile capire meglio chi partecipa a queste discussioni (anagrafica, etc.)?”
  • “Qual é la qualità dell’informazione che si riceve e il suo impatto sulla diffusione del corretto sapere medico?”
  • “Qual è la composizione ideale di questi network? Pazienti, pazienti e medici, istituzioni, altro?”.

Nel caso di Kats e colleghi c’è stato anche un tentativo di delineare quale fosse la composizione dell’audience prendendo alcuni hashtag rappresentativi quali sotto-campi di indagine.

Il loro riscontro vede la presenza di un 11% di pazienti, un 20% di medici, un 3% di professionisti sanitari non medici, un 32% di cittadini, un 30% di aziende dell’ambito healthcare, un 1% di aziende esterne al comparto salute e un 3% di spam.

Il fatto che siano emerse con percentuali notevoli tra i protagonisti delle conversazioni monitorate da Kats, ci permette di fare alcune considerazioni circa il comportamento del settore medico-farmaceutico. Il grado di confidenza di questi soggetti con gli strumenti digitali è disomogeneo, ma abbiamo esempi di aziende che investono nei social per comunicare con il pubblico e cercano di includerli all’interno delle proprie strategie di marketing.

Rifacendosi a quanto sostiene Ogilvy Healthworld nel suo report, Boehringer Ingelheim è l’azienda leader nel gestire la propria presenza social, seguita da Bayer, Merck, Novartis e Johnson&Johnson che sono riuscite anche loro a ottenere un buon risultato grazie alla loro capacità di coinvolgere nelle conversazioni online consumatori, medici, farmacisti e le reti di conoscenze personali di ciascun gruppo di audience.

L’aver riportato solo pochi nomi non significa che quelle menzionate siano le uniche aziende che hanno messo in campo una strategia di comunicazione digitale. Anche altre come GlaxoSmithKline, Novo Nordisk, Roche, Bristol-Myers Squibb, Eli-Lilly, Sanofi, AstraZeneca e Pfizer hanno avuto delle buone performances dando vita a community attive, ma di gran lunga inferiori come dimensioni e come diffusione multicanale.

Su Twitter è più rilevante creare un buon flusso comunicativo rispetto all’avere un gran numero di follower.  Postare in modo regolare e cercare di stimolare l’attenzione di chi c’è dall’altra parte è vitale trattandosi di una realtà da quasi 300 milioni di profili consultati nell’88% dei casi da mobile.

Se si riescono a perseguire questi obiettivi, questo social network diventa l’alleato migliore per suscitare curiosità attorno a un argomento e costruire un’audience ricettiva ai successivi stimoli. A dimostrazione di questa possibilità abbiamo l’aumento nel numero dei tweet lanciati dalle aziende pharma e sulla differenza nelle dimensioni del seguito: rispetto al 2013, si è registrato un +530% per i tweet che ha prodotto un +300% di follower.

Nella medesima direzione si collocano anche i risultati di un sondaggio effettuato da Havas Lynx e PMGroup, il Digital Futures 2014 survey:

twitter1

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Nonostante ciò, Twitter rimane la migliore piattaforma social davanti ad altri canali come LinkedIn e Facebook grazie alla sua flessibilità comunicativa e alla capacità di diffondere in modo istantaneo il messaggio che l’utente lancia.Condotto su un pubblico costituito da persone sia esterne sia interne alle aziende farmaceutiche, evidenzia un successo delle piattaforme riservate ai professionisti sanitari (Doctors.net.uk, PatientLikeMe, Docnet, etc.) dovuto alla notevole intraprendenza della classe medica sulla rete e alla sua tendenza a dare vita a degli ambienti di confronto tra pari. 

L’apertura al pubblico degli archivi ha permesso molte analisi retrospettive dei messaggi le quali hanno offerto numerose prove a carico dell’efficacia di Twitter in situazioni molto delicate come:

  • il monitoraggio delle malattie epidemiche;
  • la segnalazione degli eventi avversi legati alla somministrazione di un farmaco;
  • le correlazioni tra stili di vita scorretti e l’insorgenza di varie patologie;
  • la scarsa aderenza terapeutica dovuta alla un follow-up sommario da parte del medico;
  • il perdurare di sintomatologie dovuto alla scelta di cure fai da te o alla decisione di non farsi vedere da un medico.

In conclusione, le premesse per consolidare il ruolo di Twitter come supporto in ambito clinico e assistenziale sembrano esserci tutte.

Ora è necessario promuovere la ricerca di ulteriori dati a conferma di quanto emerso e lo sviluppo di una cultura dell’ascolto che porti questo canale a non essere solo un mezzo di comunicazione unidirezionale, ma bidirezionale potendo diventare finalmente una fonte di informazioni da parte del pubblico.