Una delle problematiche più diffuse nell’assistenza sanitaria è l’instaurarsi o meno di buoni rapporti tra il cittadino e le varie figure che si occupano della sua presa in carico. Percorsi di cura lunghi e complessi non aiutano, ma non si può nemmeno ignorare quanto il ruolo del paziente sia cambiato nel tempo. La possibilità di confrontarsi tra pari nei canali social, ha fatto sì che la voce di chi viene assistito acquisisse maggiore centralità e autorevolezza. Rendersi pienamente conto di cosa stia accadendo e lavorare affinché si ritorni a una piena sinergia tra medico e paziente, sarà un passo in avanti importante per restituire al sistema la capacità di erogare salute e di assistere le persone in modo appropriato.

Nella vita di tutti i giorni, è sotto gli occhi di tutti come la diffusione dei dispositivi mobile e dei canali social abbia portato a velocizzare la comunicazione e aumentare la possibilità di entrare in contatto con persone e realtà che sarebbero rimaste sconosciute.

Tra gli “effetti collaterali” di comportamenti e azioni che sono diventati molto più che un abitudine, si riscontrano una maggior difficoltà ad interagire direttamente con gli altri, la tendenza ad essere impazienti e non ascoltare chi ci sta parlando con il rischio di non rispettare le sue opinioni poiché non si è riflettuto con attenzione su quanto ci è stato detto.

Simili conseguenze possono apparire meno evidenti nella vita di tutti i giorni, ma quando ci si sposta nell’ambito salute dove si affrontano questioni delicate, le emozioni devono essere gestite in modo più attento ed è importante che si crei un’alleanza tra curante e assistito. 

La realtà che abbiamo davanti agli occhi è, però, un’altra: ambulatori pieni di persone in attesa, reparti ospedalieri sotto organico e personale medico in affanno nel tentativo di far fronte alle esigenze dei presenti quando le possibilità di comunicazione che internet mette a disposizione favorirebbero un assistenza a distanza.

Tra i principali pregi di tale pratica, ci sarebbe la possibilità di evitare ai pazienti l’uscita da casa o, in caso contrario, il fatto di non ricorrere necessariamente a una struttura sanitaria.

Non ci riferiamo solo all’utilizzo dei canali social quali Twitter, Facebook, Instagram, ma anche di altri strumenti digitali più prettamente informativi verso i quali i clinici hanno ancora diffidenza e problemi a capire i vantaggi.

I professionisti sanitari, come confermano studi e sondaggi recenti,  mostrano alcune lacune a livello comunicativo oppure relazionale. Spesso non si tratta di una questione di carattere, bensì di problemi organizzativi che vanno a inficiare la serenità del loro operare.

Pur essendo attrezzati con le più recenti tecnologie, finiscono per usare la rete per formarsi, aggiornarsi e scambiare opinioni tra colleghi, ma ne fanno molto meno uso per informare il pubblico su argomenti di carattere scientifico e non sembrano percepire assolutamente l’utilità di mettersi a disposizione dei pazienti anche sui social.

Guardando al sistema sanitario italiano, sono stati fatti dei passi in avanti con la digitalizzazione delle prescrizioni dei medici di famiglia, la creazione di piattaforme informatiche unificate all’interno degli ospedali e molti sforzi per arrivare alla realizzazione di un fascicolo elettronico personale, ma manca al suo interno la volontà di superare il gap tuttora esistente nel rapporto con il cittadino.

Per arrivare all’integrazione completa e fare in modo che non esista più una distinzione tra medici e pazienti nella veste di comunicatori, così come ipotizza lo scenario Health 3.0 del video, è necessario che si riduca la distanza verso la tecnologia e venga acquisita da medici e pazienti la consapevolezza del valore dei contributi e dei punti di vista dell’altro.

Solo nel momento in cui si crea questo tipo di sintonia, lo dice anche Dave de Bronkart, uno dei rappresentanti più noti e attivi del movimento che promuove l’engagement dei pazienti (conosciuto per questo come e-patient Dave), si potrà avere un sistema sanitario che impara dalle sue stesse esperienze.

Una crescita che coinvolga pazienti, famiglie e caregivers come patrimonio esperienziale e come parte attiva dei percorsi formativi deve essere organizzata in un progetto formale che lo stesso Dave ha presentato in un post sul suo blog e ha iniziato a promuovere durante le sue recenti apparizioni in pubblico.

Il mondo dei social media può essere un valido alleato in questo tipo di lavoro educazionale, ma nessuno deve farsi prendere da facili entusiasmi e vederli come un ambiente magico dove qualsiasi cosa può accadere. I risultati che si possono avere dalla loro frequentazione sono spesso positivi, però, è sempre necessario conoscere che cosa o come si è arrivati a quell’esito finale.

Tra gli esempi che aiutano a capire quanto ciò che abbiamo appena detto non sia solo pura teoria, c’è la storia personale di una paziente che ha vissuto il cambio di paradigma nella comunicazione e le conseguenze sia negative sia positive che ciò può avere sulla vita di un malato cronico.

Ricevuta una diagnosi di Lupus più di trent’anni fa, la donna fu seguita con fortune alterne sino a trovare lo specialista capace di entrare in sintonia con lei. Il medico poté assisterla per qualche anno, finchè la paziente fu presa in carico da altri specialisti. Questo evento diede il via alla sua avventura sul web.

L’assenza di barriere entro le quali muoversi è stato il reale salto nel vuoto. Aver goduto di una buona assistenza non le avevano fatto mai venire l’esigenza di cercare un secondo parere o porsi domande particolari. Per sua stessa ammissione, quella che doveva essere solo una banale ricerca, le ha presto aperto un mondo dove fare e condividere esperienze, conoscere molte altre persone e dare il proprio sostegno sia ai malati sia ai clinici.

Cominciare ad avere tutti una coscienza di come e attraverso quali canali si possono reperire le informazioni di valore potrà garantire credibilità a questa nuova dinamica che trasformerà i pazienti che si saranno messi in gioco in persone informate, partecipi, consapevoli e più pronte a essere al fianco dei clinici nella cura di se stessi e nel fare divulgazione.

Per i professionisti della salute essere presenti online è importante, ma instaurare un dialogo diretto con i cittadini lo è ancora di più. Il passaparola è uno strumento formidabile per diffondere le informazioni e con le possibilità offerte dalla rete si possono raggiungere velocemente una miriade di persone. E’ opportuno, quindi, che i clinici comprendano l’importanza di questo canale di informazione e l’utilità del loro ruolo.

Secondo uno dei più ampi sondaggi sulle abitudini e l’orientamento dei cittadini che sono stati condotti negli USA lo scorso anno, il 31,6% degli intervistati gradirebbe molto un ospedale gestito attraverso il proprio sito web, il 45,6% di loro ha utilizzato i social media per cercare informazioni sulla salute utilizzando termini in modo improprio e potenzialmente pericoloso, il 33,8% ha chiesto direttamente dei consigli utilizzando i canali di comunicazione diretta presenti in rete e il 57,7% ha ammesso di aver dato un giudizio sulla qualità dell’informazione reperita su internet.

Per avere un quadro complessivo dei risultati, qui sotto vi proponiamo l’infografica riassuntiva (fonte http://www.nationalresearch.com/blog/35/):

NRC-Infographic

In conclusione, il nuovo compito per i medici dovrebbe essere quello di scendere nell’arena del web e fare da sentinella. Ho usato questo termine perché non dovranno solo essere in grado di dispensare consigli pratici quando richiesto, ma di sostenere emotivamente le persone che devono affrontare un problema di salute, un esame o un intervento chirurgico raccontando esperienze proprie o di altri pazienti.

In questa maniera, sarà più facile prevenire o contenere la diffusione di allarmi ingiustificati e, indirettamente, i benefici di questo tipo di azioni si estenderanno anche a chi non era coinvolto poiché troverà riscontri tangibili ed esperienze in cui immedesimarsi.